Sbloccare il proprio potenziale non è intuitivo.
Può la correzione di un dettaglio sbloccare il potenziale di una tecnica? Il cambio di prospettiva nell’allenamento può sbloccare il potenziale di un atleta?
Magari a qualcuno è capitato di non saper eseguire un determinato movimento. Poi, alcune sessioni più tardi, di ritrovarsi ad eseguire lo stesso movimento senza particolari difficoltà senza averlo allenato in modo specifico e senza sapere il motivo di tale cambiamento.
Da poco è stato fatto uno stage centrato sulla valutazione del programma svolto per le scuole di Krav Maga di Cagliari che seguo. Al di la della bella prova degli atleti, che si sono fatti quattro ore e passa sotto esame, due sono le cose che mi hanno colpito.
La prima è notare come nell’arco di due mesi e mezzo dall’inizio delle attività, alcuni praticanti abbiano fatto dei miglioramenti immediatamente percepibili. La seconda notare come ci fossero all’interno del gruppo degli schemi condivisi di movimenti disfunzionali alle tecniche. Si, alcune persone condividevano le stesse problematiche.
Dei piccoli blocchi come: la posizione del piede o dei piedi, la mancata rotazione dell’anca, il movimento del tronco che non supporta quello delle gambe (ad esempio nei calci) o quello delle gambe che non supporto il movimento del tronco (ad esempio nei pugni).
Alle volte, un dettaglio che poteva sembrare il classico granellino di sabbia era capace di ostacolare il corretto funzionamento del meccanismo. E’ interessante notare da questo punto di vista tre cose.
Tre elementi importanti per sbloccare il proprio potenziale
La prima. Il corpo umano funziona molto bene quando viene usato sinergicamente nelle sue parti. Ogni settore che non compie il proprio lavoro pesa sugli altri. Ogni settore che compie un lavoro inverso, ostacola gli altri. Rimuovere tali “blocchi” è una strategia estremamente più efficace se fatta alla base rispetto al tentativo di “correggere” il risultato.
Un po’ come voler migliorare la stabilità di una casa partendo dalla ristrutturazione delle fondamenta e non della mansarda.
La seconda. Considerando i tempi di frequenza medi, due mesi sono pochi per rivoluzionare l’esecuzione di una tecnica. Evidentemente però lo stesso arco di tempo è sufficiente per rimuovere quel “granellino” che era d’ostacolo.
La terza. Beh, la terza è una mia ipotesi. Può una filosofia d’insegnamento che curi particolarmente quest’aspetto consentire di far coprire ai propri atleti quel proverbiale 80% con il 20% dello sforzo?
Se così fosse sarebbe assolutamente identico a quello che si fa nel coaching. Aiutare le persone a sbloccare il proprio potenziale e a farlo con gli strumenti che già dispongono e le sono propri.
Il resto è duro lavoro e duro allenamento.
Nessun segreto! 🙂
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