Breve giuda orientativa alla difesa personale
Cosa è reale
Cosa è efficace e cosa è efficiente
Perchè è essenziale avere un obiettivo preciso
Il senso di un percorso in Krav Maga Global
Le problematiche cui prestare attenzione
Bibliografia
L’allenamento reale è una contraddizione in termini.
Se è reale non è allenamento. Se è allenamento non è reale.
L’allenamento è sempre e comunque una simulazione o comunque un costrutto atto a preparare a qualcos’altro di “reale”. Accade nello sport (la gara è un’altra cosa), accade nei mestieri (la realtà lavorativa è un’altra cosa), accade nella difesa personale (la strada è un’altra cosa).
Colgo l’occasione anche per precisare che l’acqua calda è calda.
Quando parliamo di allenamento e quindi di preparazione alla realtà parliamo sempre di incertezza, per forza di cose.
Benvenuti nel campo dell’incertezza, dunque!
Non temere, siamo in buona compagnia.
Quest’ambito è condiviso da chiunque lavori con mentalità scientifica su qualsiasi problema riguardi realtà dinamiche. Il che vuol dire, praticamente tutto.
Niente panico, comunque.
Fortunatamente parliamo di difesa personale, settore del quale, fintantoché non compare sui titoli dei giornali una brutale aggressione o uno stupro, non frega un accidente a nessuno.
… e comunque l’effetto non dura più di qualche giorno.
Bene andando.
Torniamo all’incipit di questo articolo, perchè è la pietra angolare su cui si basa tutto il resto.
Allenamento reale, attacco reale, difesa reale sono dei paradossi logici.
Solo il reale è reale.
La realtà non è riproducibile (almeno non con le tecnologie odierne) ma soltanto simulabile.
Parlando di difesa personale, anche la simulazione più dura e vicina alla realtà rimane una simulazione.
Se questo paradosso non è chiaro, se si crede davvero che un attacco fatto con un coltello in gomma sia reale o anche con uno shock-knife (coltello che da scosse elettriche a contatto) o addirittura con un coltello vero se si è pazzi e incoscienti allo stesso tempo, termina questo articolo qui.
Tutto il resto per te semplicemente non avrà senso.
Amici come prima.
Il punto nevralgico di un allenamento orientato alla realtà
Per tutti quelli che sono rimasti appare chiaro che il punto NON è produrre qualcosa di reale ma produrre una simulazione che consenta di affrontare la realtà al meglio.
In questo ambito qualsiasi attività sia caratterizzata da alti indici di stress e dall’avere a che fare con condizioni dinamiche in continuo mutamento, presenta forti similitudini nella fase addestrativa.
Che ci si stia riferendo all’addestramento di un membro della SWAT o quello di un pilota di un aereo di linea, le logiche nelle procedure e nelle linee guida rimangono molto simili se non identiche.
Queste logiche riguardano in modo centrale la gestione dello stress.
Infatti, lo stress influisce pesantemente sulle prestazioni e, oltre una certa soglia, inibisce completamente la funzionalità della persona.
Il che vuol dire, dati all mano, che, se non sai come gestire lo stress, non importa che tecnica usi.
All’aumentare dell’indice di stress infatti scompaiono progressivamente prima le capacità di usare movimenti di precisione, quindi movimenti di coordinazione complessa, per arrivare sino a movimenti semplici di spinta-trazione.
Un superamento ulteriore della soglia manda il sistema in rottura.
La gestione dello stress quindi è un elemento cruciale e viene sempre affrontato in doppia pista.
Da un lato aumentando la tolleranza allo stesso, dall’altro inibendone la crescita.
Vediamo come.
(Sull’argomento leggi:
Sharpening the Warrior’s Edge di Siddle; On Killing e On Combat di Grossman; On Training di D.Nardacchione; Gestire la crisi di M. Rampin e Logica del Combattimento individuale di K.Kernspecht ;
Per un parallelo con la scelta delle tecniche, metodologie e progressioni vedi:
The Tactical pistol; The tactical shotgun; The tactical rifle; Tactical pisolo marksmanship; The tactical advantage e Force on force gunfight training di G. Suarez; Tiro IDC dell’SDU Team; Kill or get killed e Principle of self defense di R. Applegate nonché Leadership and trining for the fight di P. Howe)
Gestire lo stress inibendone la crescita.
Quando si parla di allenamenti sotto stress e si citano le due strade principali attraverso cui si addestra una persona ad operare sotto condizioni estreme, spesso il discorso su quale strada venga prima è un po’ come la vecchia domanda: viene prima l’uovo o la gallina? (ah, la risposta è l’uovo, per tua conoscenza).
In genere, se si tratta di classi di difesa personale, si può ragionevolmente assumere che la via della riduzione dello stress sia quella preferenziale per iniziare.
Questo perchè il pubblico di riferimento ha in genere un basso indice di tolleranza allo stress psicofisico e di conseguenza lavorare in prima istanza sulla tolleranza a carichi di stress sempre più elevati comporta un maggior rischio di infortunio (fisico o di disaffezione) e al conseguente abbandono.
Detto questo, quali sono le caratteristiche che consentono di limitare o inibire la crescita dello stress?
Di base, anche se si tratta di una semplificazione, queste caratteristiche riguardano la capacità di gestire in modo accettabilmente semplice e immediato l’ignoto e, nell’allenarsi a farlo, a conoscere meglio il contesto di riferimento; rendendolo, per l’appunto, meno ignoto.
Questo porta, ad esempio, a scelte tecniche iniziali che pur non essendo le migliori possibili per un atleta di alto livello, hanno il vantaggio di essere valide per persone comuni, di poter essere apprese in tempi ragionevolmente brevi e di consentire un ampio ventaglio di applicazione.
Per questo risultano molto più valide.
Il primo passo, dunque, se parliamo di civili, è offrire un percorso che, nell’ambito di situazioni di aggressione ragionevolmente probabili, consenta alla persona di comprendere il contesto e gestirlo nel modo migliore dal punto di vista fisico, mentale, etico e legale.
In tutto ciò, generalmente, si inquadra:
- La scelta di tecniche che abbiano come fondamento i gesti reattivi di difesa;
- Corretta progressione per consentire l’apprendimento di nuovi schemi motori;
- Particolare focus sul decision making;
- Sviluppo della consapevolezza in ciò che si sta facendo e nell’ambiente circostante;
- L’utilizzo di scenari che includano le fasi di pre-fight e post fight.
Facile?
No, niente affatto.
E’ molto più facile vendere la “tecnica che funziona sempre”.
Meglio se militare. Perchè si sa, se è militare funziona meglio di tutto.
Aumentare la tolleranza allo stress
La seconda fase, anche se in realtà le due piste si interlacciano molto in fretta, è aumentare la tolleranza allo stress.
Esistono in tal senso una miriade di esercizi che trattano elementi di stress fisico (fatica, dolore) o di tipo mentale (sovraccarico di informazioni, gestione emozionale) spesso unendoli assieme.
La costante in questi esercizi che sono, a livelli diversi parte integrante di scenari di simulazione, è la progressione: pena l’effetto opposto.
Immagina la capacità di gestire lo stress come una guaina elastica con il praticante al suo interno.
All’inizio della pratica questa è quasi aderente al corpo del praticante per cui qualsiasi cosa gli arrivi contro facilmente tocca anche il praticante.
Una sfera ampia, invece, sta a rappresentare una alta tolleranza allo stress, tale che un agente esterno riesca a toccare il praticante con molta più difficoltà.
Questa sfera, continuando con la metafora, è resistente all’esterno ma fragile dall’interno.
L’allenamento consiste dunque nello sfruttare la sua elasticità per allargarla sempre di più stando ben attenti a non romperla.
Quando questo dovesse succedere, infatti, non solo la persona al suo interno sarebbe immediatamente molto meno capace di gestire lo stress ma dovrebbe attendere un processo di guarigione che lascerà per sempre in quella area delle rigidità rendendola meno abile a continuare il percorso.
Lavorare con questo aspetto non è banale e richiede personale professionale e qualificato.
Il passo successivo ora è comprendere come questi aspetti del training sotto stress vadano incanalati in un percorso che produca risultati specifici.
(Come riferimento leggi quella che può essere considerata la bibbia di questo genere di training:
Turning fear into power di B.Kipp)
Efficacia, efficienza e difesa personale: Le problematiche.
Togliere un dente per una carie è una soluzione efficace per risolvere il mal di denti.
Curare la carie e salvare il dente è una soluzione efficiente.
Comprendere questa differenza è cruciale quando ci si approccia a metodi che consentano di preparare a contesti dinamici, in particolare se ad alto livello di stress.
Facile comprendere come l’efficienza sia sempre da preferire quando disponibile.
Nella difesa personale questo aspetto si collega in modo diretto all’identificazione dell’obiettivo e, a cascata, a quello che è l’ambito d’applicazione e le risorse disponibili.
Infatti, individuando in modo preciso l’obiettivo che si vuole ottenere, si è in grado di operare:
– in modo efficiente ed efficace, quando risorse e condizioni lo permettono,
– in modo efficace quando non tutte le condizioni sono presenti
– di darsi pace per tutte le casistiche in cui non è possibile offrire soluzione.
Nell’ambito della difesa personale per civili si ha a che fare con obiettivi, ambiti d’applicazione e risorse che sono molto diverse da quelli che sono le necessità degli altri due grandi “contenitori” di riferimento per le stesse problematiche (Forze armate e Forze dell’ordine).
Vediamo le differenze:
Per le forze armate:
Obiettivo di un militare è creare il massimo danno nel minimo tempo, assolvere la missione, muoversi verso il compito successivo.
L’ambito d’applicazione è stabilito dalle regole d’ingaggio e dalla missione assegnata (incluso l’uso della forza letale).
Le risorse disponibili sono quelle di personale selezionato, addestrato specificatamente all’uso della forza letale, dotato di attrezzature atte a massimizzare l’effetto dell’azione .
Per le forze dell’ordine:
Obiettivo di un rappresentante delle forze dell’ordine è quello del mantenimento dell’ordine pubblico attraverso il controllo anche coercitivo quando necessario di elementi che ne causino il turbamento.
L’ambito d’applicazione è quello stabilito dalle leggi del paese di appartenenza e dalle procedure autorizzate dal comando (incluso in casi estremi l’uso della forza letale).
Le risorse disponibili sono quelle di un personale selezionato e addestrato specificatamente per il ruolo di controllo e arresto e dotato di attrezzature atte a massimizzare l’effetto del compito.
Per i civili:
Obiettivo di un civile è quello di preservare la propria incolumità in casi specifici la difesa dei propri beni, il contrasto di una azione criminosa e la difesa dell’incolumità altrui.
L’ambito d’applicazione del civile rispetta quelle che sono le leggi del paese ospitante e, per la legge italiana, non prevede l’uso della forza tranne in casi specifici in cui tale condizione viene sospesa: pericolo per la propria incolumità, ingiusta offesa, azione criminosa, difesa di un terzo (che rientri nelle precedenti casistiche).
Vige in queste azioni sempre il principio di proporzionalità dell’azione operata rispetto alla minaccia e di giustificabilità della stessa a fronte dell’opzione di fuga o evitamento.
In questo quadro di riferimento, il civile non dispone di alcuna risorsa fisica e mentale o di alcuna preparazione se non quella che ritiene di doversi dotare. La legge italiana regolamenta strettamente le attrezzature che un civile può portare e utilizzare per la propria difesa personale ed esse, attualmente, si limitano allo spray al peperoncino (secondo la legge italiana la capsicina non deve superare il 10% del totale del liquido e il flacone non può superare i 20 ml) ed al porto di un’arma da fuoco corta previa autorizzazione.
Appare immediatamente chiaro, quindi, che le finalità di difesa di un civile siano da considerare nettamente diverse dalle necessità di un militare o di un poliziotto.
Se un militare deve essere addestrato per combattere ed un poliziotto per controllare, un civile deve essere principalmente addestrato per evitare.
A questo si aggiunga che, mentre per i primi due contenitori abbiamo persone che sono state selezionate per il compito e quindi dispongono di risorse fisiche e mentali specifiche, la difesa personale per i civili si accosta ad un bacino estremamente disomogeneo.
Quindi, che fare?
Efficacia, efficienza e difesa personale: Le priorità universali
Se non sei in grado di prevenire sarai costretto a reagire.
Se sei in ritardo e devi reagire, devi compensare.
Se devi compensare sei costretto ad usare più energie del necessario e, te lo dico chiaro, devi essere anche fortunato.
Insomma, prevenire è meglio che curare.
Nella lista delle priorità di un qualsiasi sistema che debba funzionare con una realtà dinamica la reazione è agli ultimi posti.
Ecco cosa influenza maggiormente, in una scala generale di efficacia, le possibilità di successo:
- Prevenzione e consapevolezza
- De-escalation / dissuasione
- Tattica
- Tecnica / scontro fisico.
Tale lista di priorità può essere maggiormente dettagliata ma, per quelle che sono le finalità di questa trattazione, fa capire come l’elemento dell’azione fisica intesa come reazione, sia l’opzione meno desiderabile.
Una lettura dei classici di strategia militare (Sun Tzu, Von Clausewitz per citare i più noti) ben evidenzia come, se non si conoscono le proprie risorse il terreno ed il nemico, le possibilità di vittoria siano nulle.
Nella difesa personale per civili l’unico parametro che è possibile mantenere sempre sotto il proprio controllo è quello delle risorse personali.
Il “campo di battaglia” è solo in parte gestibile.
Il “nemico” per lo più ignoto.
Va da se che un qualsiasi programma di difesa personale che abbia una logica debba puntare principalmente sul vertice della piramide e a scalare sugli altri elementi:
– grande attenzione alla prevenzione e agli skill di consapevolezza,
– nutrito lavoro sulla de-escalation e sulla dissuasione (potenziando quelle che sono le abilità che la rendono efficace),
– continuo allenamento ad un veloce decision making,
– corpus di tecniche che siano in grado di supportare e creare le premesse psicofisiche per questa struttura.
Ben si applica a questo contesto, volendo, il principio di Pareto (Vedi Il principio 80/20 di R.Koch).
Nondimeno la base di questa piramide è importante e costituisce le premesse per i piani più alti.
Saper affrontare uno scontro fisico crea il conteso di allenamento in cui si migliora il proprio decision making e si crea volontà e aggressività controllata.
La capacità di affrontare una situazione di pericolo incombente in modo tattico consente di comprendere quando e come operare de-escalation o dissuasione.
Conoscere i propri limiti ed allo stesso tempo sapere quali margini di gestione si hanno consentono di fare prevenzione liberi dalla necessità di “dover dimostrare” qualcosa agli altri o a se stessi.
Il gioco di equilibri in un allenamento logico di questo tipo è lo stesso che puoi trovare nella celebre frase “Si vis pacem para bellum”, se vuoi la pace preparati alla guerra.
Devi evitare ma essere pronto …e devi essere pronto ad evitare.
Un programma sensato di difesa personale
Un programma sensato di difesa personale è breve, adatto allo scopo e non necessita di ulteriore addestramento.
Se l’unico obiettivo è sentirsi più sicuri ciò che serve davvero è un percorso che per struttura e durata non ha sostanziali differenze da uno di scuola guida per prendere la patente.
Se ti tengono più di 3-6 mesi per imparare a guidare un’auto in sicurezza nel traffico, altamente probabile che stiano allungando il brodo per prenderti più soldi.
Certo, sono tempistiche relative.
Esistono programmi validissimi che durano 3 giorni di intensivo.
Esistono programmi esclusivamente focalizzati sull’aspetto mentale che durano una giornata.
Se l’obiettivo è essere più sicuri, dobbiamo essere sinceri e realisti, occorre davvero poco per raggiungere il minimo sindacale.
Dopo di che tutto quello che si aggiunge serve, certo, ma incrementa percentuali sempre minori a quella di successo base mano a mano che si va avanti.
Oltre un certo tot, da un punto di vista prettamente pratico, non vale più la candela.
A questo si aggiunga il fatto che, per la maggioranza delle persone comuni, il portare all’eccellenza certi skill è qualcosa di non raggiungibile per motivi strutturali.
Come nello sport, molti possono praticarlo, un numero apprezzabile può gareggiare, pochi possono vincere, un numero irrisorio può primeggiare.
Parliamo di statistica non si offenda nessuno.
Ma allora… a che accidenti serve fare Krav Maga per anni?
Il ruolo di Krav Maga Global (parliamo per noi)
Non possiamo parlare per tutti.
Ma possiamo parlare per noi.
Krav Maga Global, tolto l’aspetto della difesa personale che per le necessità generali è esauribile tranquillamente in sei mesi, offre un percorso che va oltre e che è mirato ad offrire una opportunità di miglioramento nel benessere del praticante a 360 gradi.
Sicuramente sapersi difendere per quelle che sono le casistiche più probabili, considerando le capacità che realisticamente una persona può sviluppare, è un’ottima cosa ma stiamo parlando di uno skill piccolo se paragonato a quanto una persona può guadagnare da:
- una migliore gestione dello stress,
- un aumento dell’autostima,
- un livello superiore nel discernere e risolvere i problemi
- un condizionamento fisico senza esasperazioni agonistiche o prestative
- una visione più serena di quelle che sono le dinamiche di conflitto e sul come quando intervenire.
(Su quest’ultimo argomento ti consiglio il simpatico libro Piccolo manuale di autodifesa verbale di B. Berckhan)
Si inizia a praticare Krav Maga Global perchè si vuole imparare come difendersi si continua perchè se ne rilevano i benefici nella vita di tutti i giorni.
Questi benefici sono comuni a tanti sport e a tante Arti Marziali praticate in modo sano e senza isterismi.
Krav Maga Global non ha alcun primato in questo ma semplicemente un diverso approccio che può piacere o non piacere, essere condivisibile o non condivisibile ma che di sicuro non manca di logica e di risultati.
Uno dei vantaggi di fare parte di una grande federazione, infatti, è l’accesso ad un grande serbatoio di feedback.
I riscontri che abbiamo sia per quanto riguarda situazioni di aggressione risolte con successo, sia per quanto riguarda il netto miglioramento dello stile di vita ed una migliore propensione verso il futuro sono molteplici e consistenti.
Questo, beninteso, non costituisce prova ma rassicura chi, sposando il principio di avere una funzione sociale nella divulgazione della propria pratica, ha bisogno di sapere se si trovi sulla strada giusta o meno.
Individuato in modo chiaro il fine, molte strade possono avere senso e valore.
Tutto, infatti, dipende da cosa si vuole raggiungere e quali mezzi si hanno a disposizione.
Chi propone la propria via come unica e assoluta anche per gli altri, spesso non ha ben chiaro cosa vuol dire mettersi al servizio in quanto insegnanti o, semplicemente, non gli interessa.
Appendice: Problematiche relative agli allenamenti sotto stress.
Allenare una persona sotto stress, in particolare se parliamo di qualcosa che concerne il combattimento (anche in modo solo tangenziale) è come avere a che fare con la magia delle fiabe e dei racconti mitologici.
Sulle prime sembra bellissimo e sembra essere la soluzione semplice e definitiva a tutti i problemi ma se non stai bene attento a ciò che fai, ti si rivolta contro e ti scoppia in faccia.
Quasi tutte le persone che si avvicinano al Krav Maga o a sistemi similari lo fanno come strategia consapevole o inconsapevole di gestione dell’ansia.
Quest’ansia deriva dalla mancata conoscenza di un ambito non sufficientemente esplorato o per il quale non ci si sente adeguati, spesso da tutte e due le ragioni.
Molto spesso, sotto una guida professionale, una esplorazione dei contenuti ed una maggiore capacità di gestione assolvono il compito e portano il praticante a riequilibrare il proprio rapporto con l’esterno in modo non dissimile da ciò che accade nella transizione che porta un neopatentato a guidare con disinvoltura dopo un anno di pratica.
Talvolta, invece, questa chiave di lavoro non è funzionale e crea delle sclerotizzazioni.
La persona ricerca non un equilibrio tramite l’acquisizione di strumenti e sviluppo personale, ma piuttosto una costante rassicurazione che quello che sta facendo in palestra esorcizzi in modo assoluto qualsiasi pericolo possa esserci all’esterno.
Occorre, nel proporre i propri allenamenti, tener ben presente queste condizioni e considerare sempre che la volontà di apprendere qualcosa capace di influire su capacità e sul comportamento è strettamente legata ai valori ed al concetto di identità.
Chi noi siamo detta ciò che riteniamo giusto o ingiusto: i nostri valori.
I nostri valori determinano cosa siamo disposti a mettere in campo per cambiare.
Una forzatura diretta a questo sistema, non importa quanto la persona ne abbia bisogno, genera inevitabilmente un autoboicottaggio.
Talvolta con esiti disastrosi.
Modificare la percezione che la persona ha di se stessa è un processo delicato che passa per l’esposizione a nuove possibilità e la sperimentazione di nuove modalità.
Portare una persona mite ad essere aggressiva, portare una persona che ha bisogno di pianificare tutto ad agire e decidere in una frazione di secondo, solo per fare qualche esempio, sono delle piccole rivoluzioni.
Le terapie d’urto, in questo ambito, sono molto rischiose e dall’esito incerto.
Aiutare una persona a migliorare se stessa ha qualcosa di magico.
Giocare a fare il mago pensando di avere le soluzioni per gli altri decisamente no.
… e quando si gioca a fare il mago prima o poi…
BOOOM!
Riferimenti bibliografici all’articolo:
Sharpening the Warrior’s Edge – B.Siddle
On Killing D. Grossman
On Combat D. Grossman
On Training di D. Nardacchione
Gestire la crisi di M.Rampin
Logica del Combattimento individuale di K.Kernspecht
The Tactical pistol di G. Suarez
The tactical shotgun di G. Suarez
The tactical rifle di G. Suarez
Tactical pistol marksmanship di G. Suarez
The tactical advantage di G. Suarez
Force on force gunfight training di G. Suarez
Tiro IDC dell’SDU Team
Team; Kill or get killed di R. Applegate
Principle of self defense di R. Applegate
Leadership and training for the fight di P. Howe
Turning fear into power di B.Kipp
Il principio 80/20 di R.Koch
Piccolo manuale di autodifesa verbale di B. Berckhan
Approfondimenti:
Relativi alle dinamiche di aggressione e paura:
Meditation on violence R. Miller
Facing violence R. Miller
Conflict communication R. Miller
Scaling Force R. Miller and L. Kane
The gift of fear G. De Becker
La paura M.R. Ciceri
Psicologia della paura O. Ferraris
Relativi alla difesa personale per donne:
Psicologia per l’autodifesa femminile D. Nardacchione
Competività al femminile D. Nardacchione
Il cervello delle donne L. Brizendine
Relativi a linguaggio, dinamiche sociali, potenziamento della performance:
Pragmatica della comunicazione umana Watzlawick, Beavin, Jackson
Teoria e pratica della terapia della Gestalt Pearls, Hefferline, Goodman
La struttura della magia Bandler, Grinder
Usare il cervello per cambiare R.Bandler
Pensare come Leonardo M.Gelb
Fuoriclasse M.Gladwell
The elusive obvious M.Feldenkrais
Relativi alle metodologie di allenamento in generale:
Lo sport dal collo in su M.Rampin
Allenamento mentale per gli sportivi T.Garrat
Metodi moderni di allenamento per la preparazione dei pugili F.Falcinelli
Fisiologia del movimento N.A. Bernstein
Sports Biomechanics A.J.Blazevich